Sono passati quasi 24 anni, ma quel 23 di maggio e
quel 19 di luglio, molti di noi, ce li portiamo ancora dentro.
Molti di noi per 24 anni non sono neppure riusciti
a vedere le numerose fiction televisive sulla vita e sulla morte di due uomini
normali; di due antieroi, di due persone che in una società corrotta fino al
midollo hanno osato non reprimere il loro innato senso del dovere, continuando
a lavorare e ad onorare istituzioni, all’interno – e spesso al vertice – delle quali,
sapevano trovarsi del marcio.
Molti di noi, dopo 24 anni, provano ancora un senso
di smarrimento, di vero e proprio panico, nel ricordare lo squarcio sull’asfalto
di Capaci e quello di Via D’Amelio.
Uno squarcio mai colmato; tantomeno dai parolai di
circostanza, dagli immancabili presenzialisti di eventi antimafiosi e non,
dagli oratori ipocriti e banali sui palchi imbandierati delle solite retoriche commemorazioni.
La criminalità è sempre presente nel nostro Paese; lo dice la storia prima ancora che la cronaca giudiziaria.
Quando però spara, come accaduto in questi giorni
sui Nebrodi contro Giuseppe Antoci, o quando usa il tritolo come accaduto nel
1992, allora bisogna farsi delle domande. Non solo manifestare. Non solo
costernarsi e indignarsi. Bisogna usare l’unica arma che i criminali temono: la
ragione.
Chiedersi perché si arrivi a meditare l’uccisione
di un uomo, o la realizzazione di una vera e propria strage.
La risposta è piccola come un granello di sabbia.
Quei granelli di sabbia impazzita che alle volte
fanno inceppare i meccanismi più rodati e perfetti. Meccanismi enormi, ma complessi
e articolati, in cui ognuno ha un proprio ruolo preciso, una propria funzione
messa in “pericolo” da quei piccoli granelli di sabbia che proprio di mettersi
di parte non ne vogliono sapere e che minano equilibri consolidati, accordi già
raggiunti, spartizioni già sancite.
Non è difficile ormai dopo tutti questi anni, comprendere
quali equilibri fossero “saltati” nel 1992; c’è vasta letteratura e saggistica
in materia.
Più difficile comprendere le ragioni degli eventi
quando si è contemporanei agli eventi stessi.
Più difficile, ma forse no, comprendere perché da
qualche anno la criminalità dei Nebrodi abbia rialzato la testa, ed abbia
ripreso ad usare le sue armi tradizionali: le pallottole ed il fango.
Perché nell’ambito di appalti di decine di milioni
di euro e di una infinità di altri importantissimi affari (per qualche
centinaio di milioni), fosse calato un silenzio irreale, una “pax” inverosimile;
quando a pochi chilometri di distanza si dava fuoco ad un escavatore per un
lavoro da 10 mila euro.
Perché l’attività di onesti servitori dello Stato
sia diventata così fastidiosa da dovere essere bloccata con ogni mezzo, mentre
in passato, nessuno aveva visto, nessuno aveva sentito, nessuno aveva parlato.
E cosa spinga alcune grottesche ed ineffabili figure,
in circostanze come quelle che stiamo vivendo (e che vivremo di nuovo il 23
Maggio ed il 19 Luglio prossimi) a parlare di legalità e giustizia, polverizzando
ogni barriera del pudore, superando ogni limite alla decenza.
Qualche giorno fa Sant’Agata ha ospitato Giulio Francese e Salvo Vitale in una serata intensa, durante la quale si è fatta profonda riflessione sulla necessità di fare informazione e sulle esperienze di Peppino Impastato e Mario Francese.
Un problema attuale anche per il nostro territorio,
se è vero come è vero che l’informazione locale, tranne qualche eccezione, è
stata così colpita dal tema, che il giorno dopo è stato concesso ampio spazio…
al raduno delle Mercedes.
C’è un filo che lega circostanze terribili come
quelle che ci accingiamo a ricordare nei prossimi giorni e nelle prossime
settimane che ci separano dal 19 Luglio, con quanto sta per accadere a Sant’Agata
nella giornata di Sabato 21 maggio.
Un filo sottile ma pericoloso in cui si rischia per
l’ennesima volta di inciampare rovinosamente, finendo per infrangere e fare a pezzi
ogni capacità di discernimento, ogni lucidità.
Un filo che altro non è, se non l’ennesimo tranello
dei nemici del Paese; l’ennesimo pasto degli avvoltoi e degli sciacalli. Una
trappola così prevedibile e scontata in cui pur tuttavia si finisce spesso - se non sempre - per
cadere.
Quella trappola Salvo Vitale l’ha spiegata tempo
fa; e noi, nel difficile ma consentito accostamento delle vicende dell’oggi e
della storia, vogliamo usare quelle stesse parole per avere uno strumento in
più da usare. Una lente per leggere meglio gli avvenimenti, per comprendere le
parole come i silenzi.
"Stanno preparando il vestito buono per la festa.
Passeranno la notte a lustrarsi le piume.
E domani, l'uno dopo l'altro, con una faccia
che definire di bronzo è un eufemismo,
correranno da una parte all'altra della penisola
cercando i riflettori della tivvù,
il microfono dei giornalisti,
inondandoci della loro vomitevole retorica
su twitter, facebook, e in ogni angolo della rete;
loro, tutti loro, gli assassini di Giovanni Falcone,
della moglie, e dei tre agenti della sua scorta,
saranno proprio quelli
che ne celebreranno la memoria.
Firmandola. Sottoscrivendola.
Faranno a gara per raccontarci come combattere
ciò che loro proteggono.
Spiegheranno l'immensa eredità
di un magistrato coraggioso; loro, proprio loro
che ne hanno trafugato il testamento,
alterato la firma,
prodotto un perdurante falso ideologico
che ha consentito ai loro partiti
di rinverdire i fasti di un eterno potere.
Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi.
Ci sarà addirittura chi verserà qualche calda lacrima,
a suggello e firma dell'ipocrisia di stato,
di quel trasformismo vigliacco e indomabile
che ha costruito nei decenni
la mala pianta del cinismo e dell'indifferenza,
l'humus naturale dal quale tutte le mafie attive
traggono i profitti delle loro azioni criminali.
Domani, non leggerò i giornali,
non ascolterò le notizie, non seguirò i telegiornali,
e men che meno salterò come una pispola allegra
da un mi piace all'altro su facebook
a commento di striscette melense e ipocrite
che inonderanno la rete
con una disgustosa ondata
di piatta e ipocrita demagogia.
Domani, uccideranno ancora Giovanni Falcone,
sua moglie e la sua scorta.
E io non voglio farne parte.
Per questo ne parlo oggi, con un giorno di anticipo.
Seguitano a ucciderlo, ogni giorno,
nella società civile e in parlamento.
Per questo vogliono museizzarlo,
trasformandolo in una specie di santino
da usare ad ogni buona occasione.
Perché sono proprio loro gli eterni assassini,
questa è la verità,
altrimenti non ci ritroveremmo, venti anni dopo,
nella stessa identica situazione di allora.
Domani, vestiti a festa,
faranno a gara a chi lo commemora e piange di più.
Tutti i funzionari pubblici della repubblica,
anche quelli del più piccolo e povero comune,
tutti quelli che hanno preso tangenti
privilegiando l'interesse personale
a quello del bene pubblico,
sono quelli che seguitano ogni giorno
ad assassinare Giovanni Falcone,
sua moglie e i tre agenti della scorta.
Quelli che hanno reso vana e vacua la loro morte.
Gli imprenditori che partecipano alle gare
sostenendo che bisogna pagare le tangenti
se si vuole sopravvivere sul mercato.
I direttori editoriali responsabili delle case editrici,
delle società di produzione cinematografica,
televisiva e radiofonica,
che riconoscono e accolgono come autori
solo persone presentate, suggerite, spinte e imposte
dalle segreterie dei singoli partiti politici
che poi provvederanno a fornire i loro buoni uffici
facendo piovere su di loro sovvenzioni statali
pagate con le nostre tasse.
Loro, nessuno escluso, sono gli assassini
Io non li voglio vedere.
Non voglio vedere le loro facce ipocrite.
Sono assassini tutti quelli che dicono
"lo fanno tutti, che cosa ci vuoi fare?".
Così come lo sono tutti coloro che si trincerano
dietro il "ma io ho una famiglia"
e fingono di non sapere che esiste la frase
"no, io queste cose non le faccio".
Gli assassini sono tutti i cittadini italiani
che nel silenzio garantito dalla privacy,
cautelati dal fatto di non avere testimoni,
nel segreto della cabina elettorale,
mettono una crocetta su un certo simbolo,
su un certo nome,
perché sanno che quella lista e quella persona,
domani, a elezioni avvenute (e vincenti)
risolveranno il mio problemino,
o daranno il posto a mio figlio,
o sistemeranno mia sorella.
Sono decine di milioni gli assassini
Perché la mafia non è una persona,
non è una cosa astratta.
La mafia è un'idea dell'esistenza.
La mafia è una interpretazione della vita,
e chi vi aderisce è un mafioso.
Anche se non lo sa.
Anche se non se lo vuole dire.
Sempre mafioso è.
L'intera classe politica di questo paese,
intellettuale, mediatica, imprenditoriale,
partecipò al processo di delegittimazione
di Giovanni Falcone, isolandolo, diffamandolo,
e voltandosi dall'altra parte
quando sapevano che stavano arrivando i killer.
Così come fecero poi con Paolo Borsellino
e con tutti coloro
che ebbero l'ardire di armarsi di coraggio
e combattere contro la mafia attiva.
Le stesse persone che allora scelsero di non guardare,
oggi sono in prima fila
a commemorarne la scomparsa.
Sono tutti loro i veri assassini.
Io non li voglio né vedere né ascoltare.
Perché i dirigenti mafiosi sono affaristi,
e non corrono il rischio di mettersi nei guai
uccidendo gli affari, se non sanno di avere
un territorio amico che li sorregge.
La mafia, di per sé, non esiste, esistono i mafiosi.
La mafia è la somma dei singoli comportamenti
che ne determinano l'esistenza.
E noi siamo un paese di mafiosi.
Purtroppo, non è uno stereotipo,
è la tragica realtà con la quale noi tutti
dobbiamo avere il coraggio di fare i conti.
Perché questi sono i veri conti,
non lo spread, che è una invenzione astratta.
Potete aderire a qualunque ideologia,
essere di destra o di sinistra,
anarchici o democratici, conservatori o progressisti,
amanti di Keynes, di Marx
o della teoria della Moneta Moderna,
non cambia nulla, fintantoché non cambieremo
il nostro comportamento individuale,
quotidiano, esistenziale,
e prenderemo atto di ciò che siamo
per poterci evolvere e liberarci di questo cancro
Ogniqualvolta un cittadino italiano
rinuncia ad esercitare il libero arbitrio,
e rinuncia all'ambizione e al tentativo
(anche se estremo e disperato)
di farsi valere per i propri meriti,
per le proprie competenze tecniche,
privilegiando la facile e sicura strada
della mediazione politica e della malleveria,
per prendere una scorciatoia
garantita dal sistema del malaffare,
il registratore di cassa della mafia
fa clang e segna un incasso.
Perché sa che, domani,
quel cittadino sarà un mafioso sicuro.
Anche se non lo sa.
E' una porta alla quale andranno a bussare,
sicuri che verrà subito aperta.
Loro, lo sanno benissimo, che è così.
Lo sappiamo tutti.
Non voglio vedere i loro telefilm celebrativi
interpretati da attori raccomandati,
prodotti da aziende mafiose,
e distribuiti alla nostra visione
da funzionari mafiosi in doppiopetto. Proprio no.
Domani, dedicherò la giornata
al tentativo di ripulirmi spiritualmente,
cercando di fare ordine interiore,
per eliminare ogni residuo di retro-pensiero mafioso,
che alligna dentro di me,
come dentro la mente di ogni singolo italiano,
anche quando non lo sa.
Perché il paese è così.
Altrimenti, non staremmo, dopo venti lunghi anni,
e una caterva di governi inutili,
nella stessa identica situazione di allora".
(Salvo Vitale)
Nessun commento:
Posta un commento